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Patrimonio e digitale: il caso CoopCulture

Contributo a cura di Giovanna Barni contenuto nell'ottavo rapporto sulle industrie culturali e creative a cura di Symbola-Unioncamere.

"Patrimonio e digitale: il caso CoopCulture" è un contirbuto estratto da “Fondazione Symbola – Unioncamere, Io sono Cultura – Rapporto 2018".

CoopCulture ha affrontato la sfida dell’innovazione e del rapporto tra patrimonio e digitale, apportando un cambiamento nel proprio modello di servizio al patrimonio culturale e ai suoi processi interni ed esterni Questo ripensamento è avvenuto ed è stato possibile mettendo in pratica un approccio che tenesse conto di tre aspetti: le persone, la collaborazione e la sostenibilità.


Negli ultimi anni sono state dedicate molte analisi, osservatori, commenti, progettazioni, programmi di formazione, eventi e convegni al tema del patrimonio culturale e le tecnologie digitali, adottando molteplici e diversi approcci: da quello sulle nuove figure professionali a quello più tecnologico, sugli strumenti multimediali e virtuali per rendere più attrattivi i beni culturali, a quello sui social per aumentarne la promozione e la reputazione. In molte di queste iniziative era sufficiente l’innesto di nuove tecnologie per connotarne il carattere innovativo.
In questi anni CoopCulture ha provato ad affrontare la sfida dell’innovazione, come impresa culturale non informatica e con una forma, quella cooperativa, incentrata più sulle persone che sui prodotti, più su modelli cooperativi che competitivi. Per questo Coopculture ha avviato un ripensamento vòlto, innanzitutto, al proprio modello di servizio al patrimonio culturale e, contestualmente, all’organizzazione e ai processi interni ed esterni per sviluppare una nuova progettazione, una programmazione e un monitoraggio delle azioni, indirizzate ad una crescita sostenibile della propria efficienza organizzativa, della propria capacità di diffondere valori culturali e di produrre, in modo sistemico, valore economico e sociale, per massimizzarne l’impatto in termini di lavoro e di filiera territoriale.

La cooperativa ha quindi proceduto alla Digital Transformation con un approccio umanistico, collaborativo e sostenibile, rispettoso della propria identità culturale e cooperativa. Umanistico, per porre al centro le persone e i loro fabbisogni, verso cui la tecnologia funge più da strumento che da fine ultimo, prediligendo processi di empowerment e di partecipazione, piuttosto che attività di mero intrattenimento e attrazione. Se il fine ultimo è diminuire l’iniquità di accesso alla cultura, non serve tanto spettacolarizzare il patrimonio culturale quanto attivare, attraverso nuovi strumenti, un processo di ampliamento, diversificazione e approfondimento del rapporto con i pubblici e le comunità di riferimento;  e, ove possibile, assicurare che le tecnologie non aumentino il già difficoltoso accesso al lavoro culturale, ma possano costituire opportunità di sperimentazione di forme innovative di lavoro, seppure dignitose. Un approccio collaborativo è funzionale ad utilizzare piattaforme condivise di contenuti e networking di servizi, per facilitare connessioni tematiche, itinerari culturali e reti cooperative tra i diversi attori di un territorio. Per crescere e creare sviluppo c’è infatti bisogno di sistemi territoriali ampi e inclusivi, in cui si integrino risorse culturali e produzioni locali. Serve una logica collaborativa e di networking anche con il mondo della ricerca e della formazione, affinché progetti e competenze innovativi siano condivisi con le imprese, per consentire una trasformazione digitale di settore, con valenza strategica e sistemica, anziché sterili atti di ricerca e prototipi. Un approccio sostenibile è invece indispensabile per misurare l’innovazione rispetto all’impatto sociale: per ogni investimento innovativo è opportuno monitorare il grado di usabilità, replicabilità, capacità di creare e distribuire valori culturali e sociali. Un approccio sostenibile evita ulteriori immensi investimenti in allestimenti faraonici, con tecnologie di difficile manutenzione, in luoghi difficilmente accessibili e poco conosciuti.

Cercando di mantenere fede a questa impostazione e con la volontà di sperimentare, sia nell’ottica del miglioramento della fruizione che della relazione tra beni culturali e territorio, CoopCulture ha realizzato alcune soluzioni tecnologiche, di cui sta monitorando trasferibilità, replicabilità, capacità di multitasking e moltiplicazione degli impatti.

Art Planner è il primo sistema su cui la cooperativa ha investito. Si tratta di un progetto di networking e capacity building per i territori e per l’educazione al patrimonio: una piattaforma cooperativa che mette al centro gli operatori del settore di un territorio (istituzioni, cooperative, associazioni, piccole imprese), le loro offerte culturali, le politiche di promozione e di prezzo, mettendo a sistema e massimizzando la loro visibilità e capacità distributiva. In questo modo, l’offerta culturale ampia e diversificata, sviluppata attorno al grande attrattore, si presenta coordinata ed integrata agli occhi dell’utente, mettendo a valore un’intera filiera territoriale. Questo modus operandi è sostenibile perché crea economie di scala e di rete, favorendo la crescita collettiva. Solo per dare qualche numero: il portale www.rivieraculture.it presenta un’offerta che include 51 luoghi o point of interest, attraverso 19 itinerari e la mappatura di 9 prodotti tipici, facendo rete tra 6 soggetti. Da una parte, quindi, gli operatori di un territorio, dall’altra i visitatori con le loro esigenze, seguiti in tutti i momenti della loro esperienza di visita o di viaggio: dalla semplice informazione sui luoghi, all’offerta di itinerari e circuiti, alla possibilità di personalizzare il proprio itinerario accompagnati dalla guida digitale, fino all’acquisto del biglietto.

Altrettanto interessanti sono le possibili applicazioni di questo sistema, come è il caso di ArtPlanner Scuole. Anche in questo caso lo studente è al centro del progetto e, in stretta collaborazione con il mondo della scuola, il patrimonio culturale viene utilizzato come stimolo alla capacità creativa e all’ampliamento di vedute. Attraverso la piattaforma digitale, gli studenti possono realizzare progetti che riguardano i loro territori, sperimentare diversi profili professionali, conoscere, comprendere e far propri tutti quei processi che sottendono all’elaborazione di un prodotto tecnologico. Oltre a tutto questo, grazie all’approccio umanistico adottato, possono dare spazio all’immaginazione creativa, descrittiva e critica, imparando ad utilizzare il digitale in modo finalizzato a qualcosa di concreto, avvicinandosi a quelle professioni e competenze nuove, in un orizzonte multidisciplinare e collaborativo. Tra il 2016 e il 2018 sono stati coinvolti 422 ragazzi, in 17 progetti e 1520 ore di tutoraggio.

L’approccio umanistico è stato importante anche per la realizzazione della realtà virtuale della guida immersiva delle Terme di Caracalla: Caracalla IV Dimensione, in cui il visitatore al centro del progetto, è libero di muoversi all’interno del monumento, scegliendo il proprio percorso. Il carattere user and wear friendly della tecnologia, semplice e portatile, che utilizza un visore stereoscopico VR, all’interno del quale è inserito uno smartphone, permette al visitatore, con semplici comandi gestiti da un solo pulsante, di orientarsi agevolmente all’interno dell’area archeologica poiché l’apparecchio è dotato di bussola e sistema di georeferenziazione. Ma sono soprattutto i contenuti a consentire l’empowerment del visitatore, superando le tradizionali barriere conoscitive: l’emozione di rivivere gli spazi architettonici così com’erano, senza sforzo d’immaginazione, trasforma la visita in un’esperienza vissuta, producendo un effetto benefico sul processo di memorizzazione. È infatti scientificamente provato che il coinvolgimento emotivo potenzia e amplifica la capacità di apprendimento dell’individuo, suscitando in esso anche un sentimento di affezione al luogo e al bene che sta visitando. La realtà virtuale assume così anche il ruolo di mediatore tra il mondo scientifico e il grande pubblico. Oltre 20 anni di studio sul monumento vengono restituiti in immagini leggibili e facilmente comprensibili: uguali per tutti, per tutti i livelli di acculturazione. E la ricostruzione non è frutto di una fantasia rievocativa ma il risultato di una ricostruzione filologica, scientificamente corretta e di alta qualità dal punto di vista della fruizione: risultato di una sinergica collaborazione tra CoopCulture, Soprintendenza Archeologica Speciale di Roma e il Consiglio Nazionale delle Ricerche. All’insegna dell’approccio collaborativo e della sperimentazione continua. La versatilità con cui è stata progettata la guida immersiva ne evidenzia anche l’usabiltà e la replicabilità: può essere infatti utilizzata in contesti diversi dalla visita autonoma. Per esempio, come supporto di una visita guidata con operatore didattico, come potenziamento alle sue spiegazioni; oppure, può essere utilizzata anche al Museo Archeologico Nazionale di Napoli per dare contesto alle sculture del Toro ed Eracle Farnese, che proprio dalle Terme di Caracalla provenivano. Altrettanto incisivi e funzionali risultano la facilità di gestione e manutenzione dello strumento – trattandosi di un apparecchio a basso costo e non di un monumentale allestimento – e la conseguente sostenibilità economica. A confermare la sostenibilità economica e la capacità di audience development della guida immersiva realizzata, ci sono i numeri relativi al periodo compreso da gennaio ad aprile 2018: su 10.868 supporti didattici (audio guida e guida immersiva) venduti alle Terme di Caracalla, 7.455 sono le guide immersive, che hanno più che raddoppiato le vendite dell’audioguida tradizionale, su un pubblico complessivo di 77.995 persone. Tradotto in termini percentuali, il 14% dei visitatori delle Terme di Caracalla ha scelto la guida immersiva, aumentando del 4% il numero di visitatori che sono ricorsi al noleggio di un supporto didattico.

Wisdom, in termini di consapevolezza e responsabilità, accessibilità cognitiva, usabilità, sostenibilità economica, sussidiarietà con i centri di ricerca e con la pubblica amministrazione: queste le parole chiave che sottendono all’azione di CoopCulture nel campo del digitale. Per massimizzare l’impatto sociale della tecnologia, contro l’iniquità dell’accesso alla cultura e alle professioni culturali. In questo percorso, illuminanti sono stati alcuni contributi provenienti da esperti, associazioni e reti con cui la cooperativa è in relazione. Solo per citarne alcuni: il lavoro di Symbola con la pubblicazione “Musei del futuro” nell’ambito del progetto europeo Mu.SA, in cui emerge chiaramente quanto sia importante per i musei, ai fini dell’innovazione, lavorare in modo trasversale su un nuovo modello organizzativo, anziché limitarsi a giustappore singoli interventi di digitalizzazione; il lavoro che da anni svolge l’Associazione per l’Informatica umanistica e la Cultura Digitale dell’Università di Bari con il suo approccio umanistico sull’uso delle applicazioni digitali in tutte le aree delle scienze umane; la rete DiCultHer – Digital Cultural Heritage, Arts and Humanities School, che aggrega oltre sessanta organizzazioni per costruire competenze digitali nella scuola; la collaborazione con il Prof. Francesco Antinucci e, in generale, con il CNR; le preziose riflessioni di Pier Luigi Sacco contenute nell’intervista al Giornale delle Fondazioni riguardo al cambiamento del pubblico che, diventando produttore di contenuti culturali, va seguito e sostenuto con processi di empowerment per favorirne l’accesso e la partecipazione culturale. 

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