Si tratta di una filiera articolata e complessa, ampia e interconnessa al proprio interno, come risaltava pochi giorni fa dal contributo di Paola Dubini, che ha a sua volta moltissime connessioni con il settore contiguo del turismo, con le produzioni locali e l’economia dei territori.
Di fronte a tale complessità il rischio è che senza un piano non ci sia un futuro
Risulta allora evidente come sia necessario assumere già a partire da questa fase emergenziale un approccio che di questa multiformità e connessione tenga conto: non bastano le misure “segmentate” ma non basterà nemmeno una ricetta unica, per quanto innovativa e necessaria, che possa valere per l’intero comparto. Occorrerà piuttosto un mix integrato e ragionato di misure che guardi fin da ora anche al di là dell’emergenza e che, oltre a perseguire la salvezza di un universo ricco ‒ seppure molto debole e frammentato perché sconta l’assenza da sempre di una politica industriale del settore ‒, miri anche a rigenerarlo con basi più solide e modelli sostenibili, in grado di moltiplicarne il valore di motore per il benessere dei cittadini oltre che per l’economia del Paese.
LA NECESSITÀ DELLA LUNGIMIRANZA
Per questo motivo, per aver cioè adottato un tipo di approccio trasversale destinato a svilupparsi con interventi complementari e progressivi, ho letto con grande interesse e apprezzato particolarmente il Programma per la Cultura che vede primi firmatari Marco D’Isanto, Stefano Consiglio e Ledo Prato.
Tutti questi appelli, segno della ricchezza ma anche di un eccesso di frammentazione, sono indirizzati al prossimo DPCM affinché riservi una particolare e lungimirante attenzione anche in chiave “risarcitoria” a un settore che ha sofferto e continuerà a soffrire più di altri settori.
Si tratta infatti della filiera colpita per prima dalle chiusure e poi condannata a una lentissima ripresa in quanto condizionata dell’inevitabile calo del turismo e dall’altrettanto inevitabile protrarsi delle misure di distanziamento sociale; tutto ciò si aggiungerà al fatto che alcuni settori, come l’editoria, erano in crisi ancor prima dell’emergenza mentre altri ‒ come tutta l’infrastruttura territoriale diffusa legata al patrimonio culturale ‒ sono da sempre trascurati sia per vecchi pregiudizi sul binomio impresa e patrimonio culturale sia per l’assenza di interventi strutturali mirati a favorirne la crescita e la diffusione.
E questo è paradossale se si considera che si tratta di imprese labour intensive che spesso animano presidi culturali in territori che altrimenti non ne avrebbero, aprono al pubblico teatri, biblioteche, parchi e musei, grandi e piccoli, impiegando operatori qualificati, in maggioranza donne e giovani.
Ma è lo stesso lavoro nel settore a scontare molte volte altrettanta invisibilità e ingiustizia sociale: sono tante le tipologie di lavoratori intermittenti e precari che contribuiscono nell’ambito dello spettacolo, della musica, della didattica museale. La Fondazione Fitzcarraldo sta portando avanti un pregevole tentativo di loro ricognizione, per presalvarli dalla carenza di tutele in questi giorni di stop, ma l’Alleanza delle Cooperative proprio pochi giorni prima della pandemia aveva siglato un nuovo Contratto dello spettacolo a garanzia anche di queste figure e delle nuove professioni creative.
UNA VERA RIGENERAZIONE
Come combinare allora l’urgenza di mantenere accesa la fiammella di un mondo già debole che rischia di non riprendersi dopo la crisi? E come guardare contemporaneamente a un riscatto che sia fonte di rigenerazione, rinnovamento, consolidamento e verso la dimensione di un modello più sostenibile, non più basato tutto sui numeri dei grandi attrattori ma su un nuovo paradigma di esperienza più intensa e culturalmente coinvolgente?
Senza avere alcuna pretesa di fare sintesi tra tante proposte di esperti, ritengo che le keyword alla base della ripresa debbano essere queste: conoscenza, semplificazione, sostegno, trasversalità e sussidiarietà.
Conoscenza. È dalla conoscenza della filiera, dalla mappatura della stessa che occorre partire prima ancora che dai numeri. I numeri infatti non danno idea delle interconnessioni e quindi del peso globale e della forza intrinseca, elementi che invece rendono evidente che solo insieme si può vincere e di quanto sia importante un riconoscimento normativo.
Semplificazione. L’eccesso di burocrazia ha condannato il settore alla povertà tanto quanto la carenza di finanziamenti. Semplificare e anticipare l’erogazione di finanziamenti e contributi, agevolare la rinegoziazione di contratti tra PA e imprese culturali che tengano conto dei nuovi scenari, estendere a molte più categorie gli strumenti già disponibili come ad esempio l’Art Bonus o i fondi del Pon Cultura Crea. La semplificazione non richiederebbe risorse aggiuntive, ma darebbe comunque linfa all’intero sistema, soprattutto a una evoluzione verso forme partenariali pubblico-private, le uniche in grado di fungere da acceleratore e di valorizzare tanto patrimonio ancora sottoutilizzato.
Sostegno. Sono due le misure di sostegno necessarie da introdurre immediatamente se vogliamo salvare le imprese: a) l’immissione di liquidità attraverso sia la costituzione di un fondo per la cultura ma anche con l’introduzione di strumenti immediatamente traducibili in liquidità per gli operatori (istituzionali e non), sotto forma ad esempio di biglietti sospesi, voucher, membership card da consumarsi nel breve periodo; b) il sostegno alla domanda culturale interna mediante la defiscalizzazione dei consumi culturali per tutta la filiera, inclusa quella editoriale, e l’introduzione di bonus a favore di giovani e famiglie meno abbienti.
Trasversalità e sussidiarietà. Sostenere e rafforzare il sistema con misure strutturali ha tanto più senso se si mettono in campo strategie trasversali, ad esempio con i Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo Economico, e sussidiarie con le Regioni, che finanzino l’innovazione, la ristrutturazione e il riassetto delle imprese, la rigenerazione di distretti-ecosistemi per la cultura e la creatività, anche grazie a un sapiente e sinergico utilizzo della programmazione 2021-2027, che lancino sperimentazioni di nuovi modelli di reti e filiere cooperative per superare la debolezza sistemica del settore.
UN PATTO PER IL PRESENTE CHE GUARDA AL FUTURO
Soprattutto se vogliamo davvero che la cultura e l’impresa culturale abbiano il giusto riconoscimento per il ruolo che svolgono per l’economia e la sostenibilità – anche in linea con il lavoro che sta svolgendo il gruppo ASVIS su cultura e sviluppo sostenibile ‒, occorre cambiare paradigma: non finanziare (poco) le organizzazioni culturali e farle spendere meno possibile (con esternalizzazioni al massimo ribasso), ma investire in modelli di governance e gestione in grado di massimizzare gli impatti verso la sostenibilità in termini di rigenerazione urbana e territoriale, coinvolgimento e coesione delle comunità, creazione di lavoro qualificato, sviluppo di filiere territoriali cooperative, promozione del made in Italy, stimolo di innovazione e creatività e, non ultimo, arricchimento di conoscenza e ricerca.
Ripartire sarà estremamente difficile e farlo senza un piano espone a un rischio enorme. Abbiamo bisogno oggi di un patto che coinvolga e responsabilizzi tutti gli attori, incluse le università, perché sia un patto per l’impresa e per il lavoro che guardi al futuro.